S. Giuseppe

Parrocchia San Giuseppe al Lagaccio

Una parrocchia impegnata nell'evangelizzazione

Chiesa
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Ho appena finito di leggere la bellissima lettera pastorale del nostro arcivescovo sulla vita spirituale, e ne sono entusiasta.

Parla in maniera positiva e incoraggiante dei vari aspetti della vita cristiana.

Ne ringrazio di cuore il nostro amato cardinale, e soprattutto il Signore che l’ha accompagnato nella stesura di questo testo ricco di sapienza. Grazie, Signore Gesù!

L’indice è il seguente:

I. INTRODUZIONE
II. VERSO IL “CENTRO”
III. LA VITA SPIRITUALE
IV. LE SORGENTI DELLA VITA SPIRITUALE
1. La Parola di Dio
2. La preghiera
2.1 Eucaristia
2.2 Riconciliazione
3. La carità
3.1 Risposta d’amore
3.2 Obbedienza fiduciosa
3.3 Solidarietà evangelica
4. L’ascesi
5. Alcuni punti dell’ascesi
5.1 Conoscenza di se stessi
5.2 Disciplina dei sentimenti
5.3 Disciplina del corpo
V. NEL GREMBO DELLA CHIESA
VI. MARIA MAESTRA DI VITA SPIRITUALE

Alcune “chicche”, con la certezza che vi aiuteranno a iniziare a leggerla:

Immergersi nelle Scritture Sante, affidarsi con semplicità e costanza alla Parola del Signore, è la prima sorgente della vita spirituale. Dal Vangelo infatti emerge il volto di Gesù: le sue parole, i silenzi, i gesti, i sentimenti, il suo rapporto con il Padre. A questa sorgente cristallina le anime si sono sempre dissetate prendendo vigore per vivere, come ricorda il Concilio: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo». E il grande Vescovo e martire del secondo secolo, sant’Ignazio d’Antiochia, affermava in modo incisivo: «Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo»! Nella linea di questa viva tradizione, i Vescovi italiani esortano tutti a fare della Bibbia il pane quotidiano: «Dovremmo nutrirci della Parola di Dio bramandola come il bambino cerca il latte di sua madre: per la vitalità della Chiesa, questa è un’esperienza essenziale».
(p. 15)

Non dobbiamo lasciarci impressionare dalla semplicità e a volte dalla povertà della nostra preghiera. La cosa più importante e decisiva è credere che attraverso questi momenti di orazione, piccoli ma quotidiani, lo Spirito Santo forma la nostra anima e la configura al volto di Gesù.
(p. 20)

Nella partecipazione alla santa Messa offriamo al Padre, insieme al Sacrificio di Cristo, le pene e le gioie della vita, le difficoltà e le speranze, perché tutto acquisti valore per il tempo e per l’eternità. Gesù ci ha lasciato il memoriale del Sacrificio della Croce perché la nostra vita spirituale potesse attingere luce e forza, e così imparare ad amare come Lui ama ciascuno di noi. L’apostolo Paolo afferma con inesausto stupore: «…mi ha amato e ha dato se stesso per me…!». Ognuno applichi a sé queste parole! Sentirà sua l’affermazione di san Giovanni Crisostomo: «Niente spinge tanto all’amore chi è amato, quanto il sapere che l’amante desidera ardentemente di essere corrisposto!». La divina Eucaristia non è forse Gesù stesso che nel pane e nel vino consacrati rende visibile il suo ardente desiderio di essere amato dall’uomo? Lì Dio è con noi nella sua reale presenza: si fa pane di vita eterna, sorgente della comunione fraterna. Egli non ha bisogno di noi, mentre noi abbiamo bisogno di Lui: nel presente e nell’eternità futura.
(p. 21-22)

Ecco perché la fede cristiana ha una misura “alta”: alta e affascinante! Non è un sentimento vago, ma un rapporto da persona a Persona: è impegnarsi con Lui che si è impegnato con noi! Il cristiano è “prigioniero” per amore: prigioniero di una vita, di un pensiero, di uno slancio. La vita, il pensiero, la passione di Cristo. Come è centrata la risposta di un giovane a cui chiesi a bruciapelo: «Che cosa significa per te essere cristiano?». Senza pensarci due volte mi rispose: «Non vergognarmi mai di Lui»! Per questo la prima forma della carità evangelica è amare il Signore: anche quando non lo comprendiamo! Gli apostoli, alla scuola del Maestro, qualche volta hanno sentito più pesante la difficoltà di comprenderlo; ma sempre si sono arresi all’amore appellandosi alla sua presenza. «Forse, dobbiamo amare quello che non possiamo capire», intuisce A. Camus nel suo celebre romanzo “La peste”.
(p. 26)

La carità fraterna ci spinge a guardarci attorno con occhi attenti per cogliere la sofferenza e il bisogno degli altri, per farci “samaritani” con la concretezza tempestiva delle opere. Ma non dobbiamo dimenticare che l’intervento pronto e generoso del buon samaritano nasce da un cuore aperto e disponibile. Potremmo dire che la carità “delle mani” scaturisce dalla carità “dell’anima”. Sant’Agostino descrive in modo magistrale questa sorgente interiore:
«Una volta per sempre ti viene dato questo precetto.
Ama e fa’ ciò che vuoi.
Se taci, taci per amore.
Se parli, parla per amore.
Se correggi, correggi per amore.
Se perdoni, perdona per amore.
Sia il tuo cuore radicato nell’amore.
Da questa radice non può uscire che del bene».

(p. 29)

Il punto di partenza è la conoscenza di noi stessi: nel bene e nel male. Con umiltà e fiducia dobbiamo guardarci così come siamo, evitando la duplice tentazione dell’innamoramento di noi stessi in una sorta di adolescenziale narcisismo oppure dell’autorifiuto. Il Signore ci ama per quello che siamo; vuole che ognuno si conosca nella verità e che si voglia bene, cioè che si accetti con benevolenza. È solo da questo inizio che si può procedere in modo costruttivo. Ognuno si chieda quali sono i suoi pregi, quali i limiti costitutivi e i difetti acquisiti. È utile ricordare anche che gli aspetti peggiori di noi stessi sono sempre motivo di disagio per gli altri e, in fondo, di sofferenza per noi.
(p. 36)

Mi piace qui ricordare la commovente testimonianza del vescovo vietnamita F.X. Van Thuan – poi cardinale – che ha trascorso tredici anni di reclusione e isolamento, riacquistando la libertà nel 1988. Così egli racconta: «È difficile immaginare con quanta ansia i nostri fedeli, negli anni di dura prova (dal 1958 in poi), sfidando la punizione o la prigione perché si trattava di “propaganda straniera, reazionaria”, cercavano di ascoltare la Radio Vaticana per sentire palpitare il cuore della Chiesa universale ed essere uniti con il successore di Pietro.
Più tardi ne ho fatto io stesso l’esperienza. Ero in isolamento ad Hanoi quando, un giorno, una signora della polizia mi ha portato il piccolo pesce che avrei dovuto cucinare. Appena ho visto l’involucro, subito ho avuto un sussulto di gioia che, tuttavia, mi sono ben guardato dal manifestare esteriormente. La gioia non era per il pesce, bensì per il foglio di giornale nel quale era avvolto: due pagine dell'”Osservatore Romano”… Con calma, senza farmi notare, ho lavato bene quei fogli, per liberarli dalla puzza, li ho fatti asciugare al sole e li ho conservati come una reliquia. Per me, in regime d’isolamento, quelle pagine erano un segno della comunione con Roma, con Pietro, con la Chiesa, un abbraccio da Roma. Non avrei potuto sopravvivere se non avessi avuto la consapevolezza di essere parte della Chiesa».

(p. 39-40)

In fondo, essere “contemplatori del volto di Cristo” è la sintesi della vita spirituale. Quel volto infinitamente bello continua ad essere nei secoli contemplato dalla Chiesa da ogni cristiano che prende sul serio la fede e le esigenze dell’anima. Egli, strada facendo, perviene ad una più lucida e avvincente consapevolezza di essere parte viva della Chiesa, inviato con lei ad annunciare Gesù. La Chiesa è il grande segno che lascia trasparire Cristo; la città posta sul monte, perché tutti possano vedere quel volto che l’anima infuocata di un grande convertito così invocava con accenti appassionati e drammatici per gli uomini del suo tempo: «Se non fai sentire la tua voce sopra il loro capo e la tua voce nei loro cuori seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se uno non ti possiede (…) Noi ti preghiamo dunque, o Cristo, (…) noi gli ultimi ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno a dispetto della nostra indegnità e d’ogni impossibile. E tutto l’amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amore nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore».
(p. 42-43)

Il Signore ci chiede di camminare nel suo Spirito con maggiore fiducia e coraggio. Il tempo della vita è breve e la Luce che ci attende è eterna: infatti «voi siete figli della luce e figli del giorno». Non possiamo sprecare il tempo, dobbiamo dunque camminare nella luce.
Ma, insieme a Sant’Agostino, ci chiediamo: «che significa camminare?» E da lui ascoltiamo la risposta: «Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina».

(p. 47)

* * *

Spero che questi piccoli “assaggi” vi diano l’entusiasmo di procurarvene una copia e di leggerla, a me ha fatto molto bene. La potete trovare nelle librerie cattoliche (Paoline, piazza Matteotti; LDC, via Rolando a Sampierdarena), oppure chiedetemela, sarò felice di procurarvela. Per gli appassionati del digitale si può anche scaricare il pdf.

Buona lettura e buona crescita spirituale!!!

Un commento

  1. Anna Cocina ha detto:

    Grazie, don Paolo, di questi “assaggi” veramente belli e interessanti, spero di trovare a Salerno dove io abito una copia dalle Paoline. Grazie ancora e il Signore ti benedica sempre!




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